La bellussera è un antico sistema di allevamento della vite tipico delle zone del Piave, non è l’unico in Italia, basti pensare, ad esempio, alle viti ad alberello della Sicilia o della Puglia, oppure al Testucchio, forma di allevamento risalente agli Etruschi, ancora visibile in Toscana ove gli alberi di olmo o acero reggono la vite.
Oggi, per esigenze tecniche, praticità di conduzione di un vigneto, razionalizzazione degli impianti si preferiscono altre tecniche più moderne a spalliera, con impianti a guyot o a cordone speronato: la Bellussera richiede 400 ore di lavoro all’anno almeno, contro le 60/80 di un vigneto completamente meccanizzato, e già questo ci da un’idea della passione dei vignaioli che continuano ad utilizzare questo sistema di allevamento.
Nei nostri territori la bellussera ha caratterizzato paesaggisticamente le vigne lungo il Piave e nell’immediato entroterra, costruendo nel tempo, paesaggisticamente parlando, viste mozzafiato del territorio, soprattutto quando lo si percorreva dall’alto degli argini del fiume. Un tetto di viti che a seconda delle stagioni assumeva colori, architetture, scenografie sempre diverse, se lo si guarda dall’alto un vigneto a bellussera ricorda un alveare delle api, ma tutto verde!
Il sistema della bellussera nasce grazie ai fratelli Bellussi, da cui prende ovviamente il nome, alla fine dell’800 nel comune di Tezze di Piave, in provincia di Treviso. La bellussera prevede un impianto molto ampio, con file di pali in legno alti circa 3 o 4 metri, che creano un interfilare largo 6, 9 o 12 metri, le sommità dei pali sono poi unite con fili di ferro, che si incrociano formando una raggiera (per questo si chiama anche impianto a raggi). Ogni palo sostiene quattro viti, che si arrampicano a quasi 3 metri da terra. Ogni palo sostiene 4 viti, alzate circa m. 2.50 da terra, da ciascuna delle quali si formano dei cordoni permanenti che vengono fatti sviluppare inclinati verso l’alto e in diagonale rispetto all’interfilare.
Fu ideata per il Raboso Piave che doveva dare produzione e l’impianto permetteva di ottenere un raccolto più sano e più ricco, quasi 25 tonnellate. La notevole altezza permetteva di mantenere la vegetazione e la produzione molto lontana dal suolo limitando i danni dovuti alle brinate primaverili e riducendo gli effetti delle nebbie autunnali, più che negative, per una varietà, come il raboso, molto tardiva. Anche la potatura aveva i suoi vantaggi, così scrive Gianni Moriani (ideatore del Master in Cultura del Cibo e del Vino dell’Università Ca’ Foscari di Venezia) “grappoli piccoli e numerosi, chicchi più piccoli e succo più concentrato e matura con buccia più grossa e colorata, per cui si ha un vino scelto, riunente in sé al massimo grado i caratteri che ne fanno un vino da mezzo taglio”.
Se lo osserviamo dall’alto un vigneto a bellussera sembra un quadro astratto o uno di quei disegni ripetuti come la trama di un tessuto; se, invece, ci inoltriamo al suo interno goderemo della sua frescura come un giardino a pergola dove trascorrere un pomeriggio assolato: mi racconta Désireé Pascon Bellese, dell’azienda Bellese Vini di Ormelle, che protegge con tutte le sue forze un vigneto coltivato con questo sistema di allevamento, che si trova in quel di Candolè, piantato dal papà “la bellussera è legata indissolubilmente alla mia infanzia, nelle calde giornate estive mi sdraiavo sotto le viti e mi leggevo un bel libro al fresco dell’ombra, come potrei mai eliminarlo? Significherebbe far sparire una parte di me, della mia storia….”. Con le uve provenienti da questa Bellussera Désireé ha realizzato il sogno del papà di metterne la produzione in bottiglia, con tanto di etichetta personalizzata ed è nato il “373”, il numero del mappale di Candolè, dall’etichetta verde come verdi sono i vigneti di Bellussera in primavera e in estate, un vino moderno e “easy” per stare in compagnia.
La bellussera costudisce, insomma, la storia delle terre del Piave, la sua impronta paesaggistica, ma anche le esigenze colturali: i vigneti posti così in alto anche a più di due metri di altezza, avevano la caratteristica, in queste terre di pianura molto umide, di mantenere maggiormente arieggiata la pianta preservandola da malattie come la peronospera. Inoltre, fra i filari, essendo molto ampi, si potevano piantare i gelsi o addirittura maritarli alle viti, albero tipico legato all’allevamento dei bachi da seta, attività poi scomparsa, e ortaggi che sostenevano l’economia delle famiglie di mezzadria che dovevano ottimizzare la superficie coltivata per il sostegno della famiglia, un vero ecosistema di biodiversità, ben integrata con il complesso dell’attività agricola, quindi molto al passo con le richieste di una viticoltura maggiormente sostenibile.
Purtroppo, negli ultimi anni, sono sempre più frequenti gli espianti di queste vigne, a volte anche molto antiche, a favore dei metodi più moderni. Questo succede soprattutto per quanto riguarda i nuovi vigneti di Glera perché, come da disciplinare, a partire dal 2019 i possessori dei vigneti con questo sesto d’impianto non potranno più rivendicare la denominazione Prosecco d.o.c. per la loro produzione. La facilità della lavorazione meccanica ed il successo del Prosecco hanno fatto sì che negli ultimi anni i viticoltori abbiano deciso di abbandonare la Bellussera a favore del filare e molti antichi vitigni autoctoni per la Glera: speriamo che questa indicazione sia rivista al più presto, qualcuno forse non ha valutato questa decisione con attenzione!
Oggi le poche bellussere ancora in vita restano localizzate nella zona storica dell’alto e medio Piave (tra i comuni di Tezze di Piave, San Polo di Piave, Tempio, Rai, Ormelle) difese da aziende che cercano di mantenere la tradizione anche a costo di sacrifici, Ca’ di Rajo, Azienda Gatti, Leo Nardin, Bonotto delle Tezze, la prima citata Bellese Vini, Cecchetto Giorgio tanto per menzionarne alcune, movimentando un paesaggio che rischia di essere standardizzato da vigneti tutti uguali.
E se devo citare un grande vino prodotto da Bellussera non posso che pensare al Raboso Piave Potestà di Bonotto delle Tezze, in cui solo le migliori viti dello storico vigneto danno le uve per la produzione di questo vino con il sistema tradizionale a raggi, con viti che arrivano a superare i 4 metri d’altezza.
Insomma andate a visitarle queste bellussere prima che spariscano del tutto e ad assaggiarne i vini che producono, per quanto mi riguarda, il mio sogno, è organizzare un pranzo all’ombra dei raggi con i nostri sommelier in servizio!