Sono passate già alcune settimane, perché il tempo corre veloce, ma il pensiero ogni tanto ricade lì e non solo perché la foto del mio profilo facebook me lo ricorda quasi giornalmente, ma perchè è un pensiero più profondo. Un pensiero e alcune riflessioni che hanno a che fare con l’apprendimento, con lezioni di vita di calviniana memoria quando nelle sue “Lezioni Americane” ragiona sull’approccio di scoperta nei confronti della vita, in cui non si finisce mai di scoprire qualcosa.
Ci sono momenti nel mio percorso professionale che segnano tappe importanti della riflessione legata alle competenze, a come si sviluppano, a come abbiamo necessariamente bisogno di imparare sempre, oggi ancor di più.
Negli ultimi anni ho appreso molto dal mondo del vino, non solo per il suo contenuto tecnico ed esperienziale che è immenso, quanto per altri due fattori, uno legato alla capacità di offrire similitudini soprattutto nell’esperienza sensoriale che riesco a ricondurre spesso alla mia attività professionale di formatrice, dall’altra per la possibilità che mi regala di scaricare le tossine lavorative e trovare linfa nelle storie, nei territori, nella storia dei vini anche per nuove idee, nuovi progetti.
Ma, qualche giorno fa, in compagnia del mio ormai “fratello” acquisito per scorribande intellettive fra vino e musica rock, Gianpaolo Giacobbo, sono stata a ri-trovare Christian Zago e, il vino, anzi il mondo del vino legato a questo giovane contadino sognatore, mi ha fatto vivere una bella esperienza cognitiva. Visita fra l’altro non programmata, ma rubata alle coincidenze della vita che ha lasciato un segno, un bel segno, perché a volte succede proprio così, e non solo perché ti iscrivi all’ultimo corso/degustazione con mille interessati su eventi FB.
In una delle prime fredde serate di un inverno che sembrava non arrivare mai, mi sono ritrovata tra questi due personaggi del vino, da una parte il narratore enorock e, dall’altra, il contadino più borgognone di Valdobbiadene.
Ca’ dei Zago è una piccola cantina, senza fronzoli, ancora incompiuta, ricca di storia, dove tutte le cose, anche le pentole in allumino, la porta che si apre sul retro, il cestino del cucito, le vasche in cemento dipinte di grigio e rosso, il torchio, tutto ha un suo perché, tutto racconta qualcosa. Essenziale, semplice, nessun modernismo, nessuna laccatura o effetti speciali: solo tanto pensiero analitico, solo tanto apprendimento generazionale, solo la natura di un contadino giovane, istruito che sente la terra, l’uva, guardando e assaggiando assieme ai suoi avi che non ci sono più.
Gianpi mi dice “vedi è come essere in Borgogna” e so cosa intende, lo capisco perché stai li in piedi, un po’ al freddo, e, con un unico sguardo, ruotando appena gli occhi, vedi tutto.
Siamo li per assaggiare qualche base ma alla fine le assaggeremo tutte perché per Christian nessun vigneto è meno importante, tutti hanno qualcosa da dire e la diversità è un valore. Siamo li per vedere le “uova”, delle uova giganti, le nuove botti in gres porcellanato, fatte su misura, uniche, fra due delle quali mi sistemo per trovare un po’ di tepore: sono arrivate da un po’ e una è già in funzione con la prima base che assaggiamo, quella del vigneto a Saccol, sono belle, lisce, materne, giuste per costudire nel loro grembo il frutto della terra.
Christian ce le presenta “Guarda” mi dice “senti all’interno con la mano che morbidezza, qui l’uva quando la giro, gira bene, le pareti sono lisce, quasi setose…” e fa proprio il gesto: uno dei suoi gesti semplici, minimi, ma che raccontano della cura, dell’attenzione, dell’ascolto. Si passa poi alle vasche in cemento, di fronte, via con un’altra base, forse quella del vigneto di casa, proprio li, dietro alla cantina: profumi diversi, più fruttato rispetto alla leggerezza e soavità precedente, sensazioni più piene. E poi non vuoi assaggiare anche quelle di là, nella parte vecchia della cantina, dove arriva nel frattempo la nonna di Christian a prendere con la caraffa il vino per la cena, perché qui si fa così, tanto è già che buono, altro che “basi”. E non riesci più a dirgli “guarda che abbiamo fretta, ci aspettano a cena”, Christian con le guance rosse e l’occhio vispo, felice perché è li nel suo mondo, con le sue creature e tu lo ascolti. Perché apprendere è ascoltare ma è anche avere qualcuno che ti ascolta attentamente; perché apprendere è confrontare oggi con ieri e immaginare cosa sarà domani. Cosa uscirà da quella base, che prosecco sarà, che cuvée andremo a realizzare con ciò che sappiamo.

Me ne sto li, con il calice in mano, un po’ in disparte ad ascoltarli, il Gianpi che motiva, sostiene, incoraggia, parla di resistenza “devi continuare così, devi andare avanti”, il giovane vignaiolo che si illumina, che riflette, che riprende il filo dei ragionamenti. Via via mi si definiscono insight di riflessione sulle basi, si strutturano pensieri, capisco cose nuove e questo mi piace, poi sento nell’assaggio la differenza con il precedente e con quello iniziale, mi entusiasmo, intervengo anche io nel discorso. Esco allo scoperto con cautela, sento che ne sanno tutti e due tanto di più, ma la mia personale esperienza mi aiuta.
Quando dico che dalle basi si apprende, voglio che dire che si parte dalle basi, che devono essere solide di esperienza prima di avventurarsi in contesti che non conosciamo. Torniamo alle vasche in cemento dalla parte nuova della cantina, spostandoci in quei pochi metri come se facessimo grandi viaggi, con l’entusiasmo delle scoperte: chi si caratterizza per i raffinati floreali, chi per le strutture sapide, chi per le composizioni dei terreni, chi fa cogliere il frutto o le erbe aromatiche, immaginiamo cosa verrà.
Non è ancora finita questa esperienza, apriamo un metodo classico, quello nuovo, l’ultimo che forse sarà il primo: il precedente non mi aveva molto convinta, e non aveva convinto neanche Christian a dire la verità, perché per alcuni traguardi devi guadagnarteli, lo apre alla volèe e qui parte tutto un altro teatrino dei bambini, con lui che cerca la migliore posizione di taglio, aprendo la famosa porta sul retro, quella che porta il venticello del Cesen per rinfrescare la cantina, con Gianpaolo che cerca lo scatto migliore per immortalare il momento (sarà uno scatto bellissimo), zac, e vai di assaggio. Ci siamo, non servono tante parole, pare che ci siamo veramente, me lo aspetto per il prossimo anno nelle degustazioni di Slowine.
Sarà piccola questa cantina ma c’è ancora qualcosa da scoprire: in un angolo fra le cisterne in cemento (qui acciaio non se ne vede fatta eccezione per un pezzo all’esterno che serve in vendemmia per strategie di contenimento e che secondo me non rimarrà ancora a lungo…) c’è anche una piccola anfora, si va li con i calici in mano, sempre con questa aria un po’ scanzonata, un po’ religiosa, ne tira fuori un po’ con la cannuccia Christian e qui la metafora dell’apprendimento è che quando hai imparato, ti sei chiarito il quadro di riferimento, hai gli elementi del contesto posizionati adeguatamente, tutto può ancora cambiare, l’innovazione entra in gioco modificando lo schema base, si arricchisce di schemi nuovi, di possibilità da esplorare.

Fatica e leggerezza dell’apprendere, il percorso è fatto di impegno, di approfondimenti che via via si chiariscono, di interrogativi, ma diventa più facile quando vivi direttamente l’esperienza legata alla competenza e quando il maestro o i maestri di riferimento la rendono luminosa come quanto descritto prima, nella luce di una cantina nel cuore di Valdobbiadene.
Nel chiudere mi sovviene il ricordo di un altro momento indimenticabile legato alle basi del vino, organizzato alcuni anni fa da Luca Ferraro di Bele Casel : creatività e comunicazione non gli fanno difetto certamente e quella giornata fu un momento importante nel cammino di apprendimento del vino e anche occasione di conoscenza di persone poi divenute amiche e di bevute importanti. Tante basi assaggiate di cui ancora oggi ho ricordo, perché ci sono contenuti ed esperienze che non si scordano mai. Le basi della conoscenza sono le “competenze di base”, sono quelle che sviluppano gli alfabeti fondamentali senza le quali nessun altro apprendimento è possibile, senza le quali tutto diventa difficile, incompiuto, impossibile da rielaborare e aggregare ad altri contenuti, ad altri saperi. Le basi dei vini sono una splendida metafora di tutto ciò.