WINE&FOOD

IL TORCHIATO DI FREGONA E LA PASQUA

La Pasqua imminente e una degustazione di un paio di mesi fa mi spingono a raccontare del Torchiato di Fregona DOCG Colli di Conegliano, le cui uve per l’appunto, vengono torchiate proprio durante il periodo pasquale, dopo alcuni mesi passati in appassimento, vino cugino, per tipologia, dei Vin Santo, le cui uve vengono appunto pigiate in queste settimane.

Un vino prelibato, da meditazione, come si suol dire per questa tipologia di vini, quasi a rischio di estinzione, ma che ha una lunga ed affascinante storia: è un vino passito le cui origini risalgono nel tempo, se ne hanno tracce dal 1600, le cui uve vengono prodotte rigorosamente solo nei territori dei comuni di Fregona, Sarmede e Cappella Maggiore, in provincia di Treviso. Tra i riconoscimenti ottenuti dal loro vino, i nativi di Fregona ricordano la medaglia d’oro vinta a Ginevra nel 1932 alla Mostra Universale.

Ci sono due leggende legate all’origine del vino: la prima racconta che attorno al 1600 nella frazione di Ciser di Fregona, sotto il monte Pizzoc, un contadino provò a far maturare l’uva, che a causa del freddo non era maturata bene in pianta, appendendola all’interno, nel granaio. Ovviamente un po’ alla volta l’uva appassì, concentrando gli zuccheri, divenne dolce, e poi torchiata in primavera, mettendola successivamente a fermentare in piccole botti. La seconda leggenda ha un’origine “ecclesiastica” secondo la quale le primizie delle uve venivano donate al parroco, che, non avendo attrezzature per lavorarle, attendeva che i contadini terminassero i loro lavori e posava intanto le uve in granaio che poi appassivano, diventando dolci.

Da quella occasione fu poi prodotto per le Feste, da tutte le famiglie di Fregona, diventando un vino passito molto ricercato: la settimana prima di Pasqua, più o meno, le famiglie si radunavano attorno al tavolo con i grappoli d’uva e selezionavano gli acini, uno ad uno, separandoli dal raspo e buttando via quelli troppo secchi o ammuffiti. Era un momento importante, in cui i componenti della famiglia si ritrovavano a chiacchierare, a “contarsela”, in attesa delle feste pasquali, i bambini ricevevano in premio un acino dolcissimo, come una caramella.

Ad oggi sono rimasti pochissimi produttori a farlo e c’era il rischio che sparisse a favore di vigneti più produttivi: così sette produttori hanno unito le forze e si sono organizzati in cooperativa, nella Cantina Produttori di Fregona, costruendo un centro di appassimento a Fregona (di cui consiglio la visita), con l’obiettivo di valorizzare questo vino della tradizione, cercando di diffonderlo a livello nazionale ed internazionale. L’obiettivo è di continuare a produrlo come una volta, lavorato rigorosamente a mano, si producono oggi circa 20.000 bottiglie, un unico vino che ha preso il nome di “Piera Dolza”, legandolo ancor di più al territorio: la “pietra” è l’arenaria di cui sono costituite le splendide grotte del Caglieron, poco distanti.

E’ un vino che rappresenta un territorio, anche se circoscritto, e la sua storia: viene prodotto con i vitigni Glera, Boschera e Verdiso. I grappoli vengono selezionati e staccati maturi dai vigneti, ma non troppo maturi per conservare un po’ di acidità, successivamente vengono appesi uno per uno o stesi su graticci, i gradiss (quelli che in passato venivano utilizzati per la produzione dei bachi da seta nei mesi precedenti), in ambienti asciutti e ben arieggiati, con la cura di rimuovere gli acini rotti o ricoperti da muffe indesiderate. Segue l’appassimento per qualche mese in base alla densità zuccherina che si vuole ottenere. Durante la settimana di Pasqua si procede a separare i grappoli a mano che vengono pigiati con torchi manuali, molto simili a quelli del Seicento. Il mosto ottenuto è affinato in piccole botti di legno, per un minimo di 24 mesi di cui almeno cinque in bottiglia.

I tre vitigni che lo compongono hanno un ruolo ben preciso: la glera ne dà la tipicità degli aromi fruttati e il tenore zuccherino, il verdiso è importante per l’acidità che non lo fa diventare stucchevole, la boschera ha una buccia spessa, particolarmente adatta all’appassimento e ricca di profumi. Se riuscirete ad assaggiarne un calice, ne apprezzerete il colore ambrato, lucente, prezioso: profumi e aromi sono inebrianti, note di uva passa, di albicocche secche, di fichi, di arancia candita, ma ogni annata può distinguersi per qualcosa di nuovo. In bocca sorprende la freschezza, la bevibilità che non stanca, morbido e croccante nello stesso tempo, un finale lunghissimo di mandorla, di pesca infinita.

Proprio queste sue caratteristiche lo rendono adatto a molteplici abbinamenti: assaggiato con i formaggi di malga è speciale, con la Caciotta Fumo del Cansiglio indimenticabile, sicuramente un gorgonzola lo esalta, ma regge bene anche una più rustica sopressa trevigiana, ovviamente di qualità. Ho trovato una ricetta che mi ha entusiasmato: il risotto mantecato al Torchiato con la ricotta affumicata del Cansiglio. E’ interessante utilizzarlo anche nelle preparazioni di piatti per renderli unici: alcuni ristoranti del territorio lo inseriscono nelle glassature delle carni, soprattutto quelle bianche.
Visto che siamo verso la Pasqua non possiamo dimenticare i dolci: sicuramente perfetto su tutta la pasticceria secca per la sua nota fresca in bocca, ma la tradizione del territorio lo vuole abbinato alla zonclada, la torta tipica preparata ancora da alcune pasticcerie trevigiane (potete trovarne la ricetta sul sito www.trevisaninelmondo.it). Esiste anche una versione di biscotti, gli zoncladini: ho avuto la fortuna di assaggiarli abbinati al Torchiato di Fregona e il risultato è una graditissima sorpresa…pasquale!

Articolo scritto per la rivista IN PIAZZA

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