L’ispirazione per questo articolo mi è venuta dal tema di quest’anno del Fiume Festival, l’evento promosso dalla città di San Donà di Piave, ormai da qualche anno, per valorizzare il Fiume Piave e la cultura ad essa legata: il tema sarà, appunto, il Viaggio. La mia passione per i vini mi ha fatto scattare l’idea di collegare, il tema proposto, al viaggio che alcuni vini intraprendevano in passato o alle loro caratteristiche che li rendono adatti al viaggio, inteso in diverse accezioni.
Partiamo quindi per questo viaggio da una frase storica: “VIN DA VIAJO…vino da viaggio…” era ciò che dicevano del Raboso i veneziani della Serenissima, la sua acidità unita al tannino gli permetteva di resistere anche a lunghi viaggi, ne ho già raccontato in precedenti articoli e non mi soffermerò più di tanto.
Il vino da viaggio nasce, come tante cose, dagli antichi Romani, che aggiungevano al vino altre sostanze affinchè si conservasse, il miele e il pepe in particolare: la storia del vino è fatta di percorsi, viaggi, spostamenti da territori ad altri ancora prima di essere imbottigliati (ci sono uve che viaggiano, operazione che da un punto di vista della qualità del vino non è proprio l’ideale…), di lunghi viaggi in passato, più veloci ed intercontinentali oggi che il vino è diventato un prodotto di consumo globale e, ormai prodotto in tutto il mondo.
Il vino in Italia viaggiava o faceva viaggiare anche con il treno, nacquero delle vere e proprie tratte commerciali del vino come come l’antica “Ferrovia del vino” siciliana, che da Noto arrivava a Marzamemi (Siracusa): da qui, i vini della Val di Noto, tra l’Ottocento ed il Novecento, partivano sui treni per arrivare in tutta Europa.
Per restare nei nostri territori un vino fortemente legato al viaggio è la Malvasia, un vino mitico, un vinoche ha riguardato tutto il Mediterraneo, dove l’uva appassita gradita ai marinai giungeva nelle terre toccate e lì rimaneva, quindi la troviamo in Grecia, Sicilia, Sardegna, Istria, Dalmazia, Friuli. Il nome Malvasia deriva da un antico porto del Peloponneso, Monemvasia, centro nevralgico dei commerci genovesi e veneziani, da cui partivano i rinomati vini dolci di Creta allora detta Candia, fatti appassendo i grappoli.
Nel tempo arriviamo alla Serenissima il cui intuito commerciale ne crea un vero e proprio “brand”, come si direbbe oggi. Col nome “Malvasia” si identificava un vino forte, alcolico, dal sapore dolce: i Veneziani lo commercializzano in tutta Italia e quando finiscono i viaggi di importazione da Candia perché conquistata dai Turchi, esportano in tutta la Penisola le barbatelle.
E’ per questo che in Italia se ne contano oggi qualcosa come 18 tipologie ufficialmente riconosciute, che fanno della Malvasia una delle famiglie più numerose del panorama vitivinicolo d’Italia, ce ne sono davvero di ogni tipo, a bacca rossa e biancae persino una a bacca rosa, da cui si produce una composita varietà di vini, rossi, bianchi, secchi, dolci, fermi e frizzanti.
Ma per capire meglio il legame di Venezia con questo vino basta girare le calli veneziane a scoprire i luoghi dedicati alla Malvasia, una gita che vi propongo, con soste nei bacari per assaggiarla veramente: troviamo Calle de la Malvasia a Cannaregio, ma anche il Campiello della Malvasia vicino l’Arsenale, o il ponte della Malvasia. E ancora il sotoportego della Malvasia vecchia a San Fantin! A dirla tutta a Venezia, una volta, i bar si chiamavano “malvasie”:

“Vi era a Venezia nei passati tempi anco un’altra specie di botteghe, le quali si appellavano malvasie, perchè d’ infra i liquori di cui facevano smercio, più che altri vendevano la malvasia, vino assai dilicato, che veniva spremuto da una colai uva, conosciuta sotto il nome appunto di malvasia e grechetto. Due sorta vi avea di tal liquore: la malvasia cioè semplicemente malvasia, e quella che appellavano garba, la quale certo che d’amaretto teneva nel gusto.
(Morolin, 1838, p. 138)
Ma il tema del viaggio del vino non può non contemplare gli inglesi che si incrocia con la Sicilia e lo storico vino Marsala: gli inglesi ben conoscevano i vini del marsalese, in quanto da decenni, a partire dal 1773, più o meno, si fermavano nello specchio d’acqua antistante il porto di Marsala per caricare acqua, viveri e, per l’appunto, i vini. È doveroso ricordare che all’epoca il Mediterraneo era assai frequentato da imbarcazioni inglesi, spagnole e francesi, che si contendevano il predominio di Mare Nostrum: il metodo di invecchiamento utilizzato dalla gente del luogo, denominato in perpetuum, consisteva nel rabboccare le botti che contenevano una parte del vino consumato durante l’anno con il vino di nuova produzione, in maniera da conservarne le caratteristiche.
I viaggi del vino e gli inglesi li ritroviamo anche in Portogallo e la vicenda a a che fare con il vino più famoso di questo Paese, il Porto: per affrontare il viaggio, al vino veniva aggiunta una piccola quantità di brandy, tecnica che non va confusa con quella attuale di vinificazione che consiste nel bloccare la fermentazione con l’aggiunta di aguardiente, ottenendo un vino dolce e molto alcoolico: un successo assicurato presso gli inglesi.
Diverse le famiglie inglesi che si stabilirono sulla riva sud della foce del fiume Douro che poi diedero il loro nome al vino, quali Offley, Cockburn, Graham, Warre, solo per citarne alcuni.
Meno noto come vino “viaggiante” è l’Albenga, un vino antico che viaggiava in anfore: l’interno dell’anfora da vino era impermeabilizzato con pece e resine, da cui il termine “vino resinato”, mentre l’imboccatura veniva chiusa con un tappo di sughero spalmato di pece ma anche da appositi tappi di ceramica sigillati con calce. Nel museo navale di Albenga, in Liguria oggi troviamo i resti della più grande nave da trasporto romana conosciuta a tutt’oggi nel Mediterraneo, con un carico superiore alle 10.000 anfore che contenevano vino proveniente dalla Campania destinato ai mercati della Francia meridionale e della Spagna. Oggi esiste la denominazione del Comune di Albenga per vini rossi e bianchi.
La passione per il vino è sempre fortemente legata al viaggio: anche la creazione delle “Strade del vino” è sinonimo della voglia di viaggiare e scoprire degli appassionati enologici, fin a dalla prima che fu inaugurata in Germania nel 1935. Oggi il vino è prodotto in tutto il mondo e sicuramente ogni appassionato ha le sue zone preferite, alcune non possono mancare per valore storico e di qualità dei vini, altri per la bellezza paesaggistica dei vigneti, pur magari non vantando una lunga tradizione vitivinicola, ma vediamo quali potrebbero essere.
Partiamo da nord: sicuramente la Strada dei vini dell’Alsazia ha un fascino immenso, con le sue colline dai pendii dolci e i suoi vigneti che si affacciano su città gioiello ricche di storia; così come la Valle dei vini della Mosella, paesaggi incredibili lungo questo fiume sinuoso. I vigneti e i castelli di Bordeaux meritano un viaggio da soli, a cui affiancherei un altro viaggio in Toscana, meta da sempre dei grandi letterati, molto amata da inglesi ed americani. Se amate la Spagna non si può perdere un viaggio a La Rioja, una piccola regione vitivinicola completamente coperta da un susseguirsi di vigneti di cui gli spagnoli vanno molto fieri: cantine antichissime e di fascino, soprattutto per i vini rossi da invecchiamento, allungando il viaggio in Portogallo imperdibili i vigneti dell’Alentejo.
Panorami mozzafiato in Argentina per i vigneti Mendoza, uno dei luoghi più suggestivi al mondo, sullo sfondo le montagne innevate e i vini abbinati a bistecche buonissime. Rimanendo nel continente americano la Napa e la più tranquilla Sonoma Valley offrono colline e paesetti caratteristici fra cui il Silverado Trail è semplicemente una strada di campagna che si snoda all’ombra di querce secolari, vitigni pregiati e moltissime cantine, non basta una settimana per visitarle tutte.
Se invece volete qualcosa di poco conosciuto vi suggerisco i vigneti canadesi di Okanagan che circondano l’omonimo lago. E perché no, un viaggio dall’altra parte del mondo, nei vigneti della Hunter Valley in Australia dove saltano i canguri.
Ovviamente un innamorato del vino cercherà sempre di appropriarsi delle tradizioni enoiche del paese in cui si reca. Sotto questo profilo le regioni italiane e quelle francesi da sole “valgono il viaggio”, come si suol dire: se il viaggio non è possibile abbiamo sempre la possibilità di un viaggio degustativo offerto dalla possibilità di assaggiare dei vini, in buona compagnia, ascoltandone i racconti.
Patrizia Loiola
Articolo scritto per la rivista In Piazza