Questa estate, luglio, una calda giornata di quelle particolarmente impegnative: sto andando a trovare Josko Gravner. Ho avuto modo di incontrare alcune volte sua figlia Mateja qui e là nelle manifestazioni sul vino, persona squisita ed emozionale, ma mai messo piedi in casa del grande Josko, ho un certo timore reverenziale, un po’ di soggezione a pensare all’incontro.
Gravner è un punto di riferimento nel mondo del vino, un po’ rivoluzionario, un po’ profeta, un po’ tutto, insomma chissà come sarà. Però è una visita che sognavo da tempo e, finalmente, avviene.
Sono in compagnia del grande Bob Checchetto che mi ha già raccontato un sacco di cose: lui e Josko si conoscono da tempo. Sotto l’albero, davanti alla casa, troviamo Mateja con il suo sorriso mite ma anche un po’ incavolata da vicende commerciali del mondo del vino: “Volete un bicchiere d’acqua?”. Ecco si, meglio un po’ d’acqua. Siamo in località Lenzuolo Bianco di Oslavia, al numero nove.

Mi piace questo posto, sulle colline di Oslavia, la facciata semplice della casa e l’albero accogliente con il semplice tavolo e le sedie. Entriamo nell’attesa che Josko rientri dalla vigna, credo, sempre avvolta in questa lieve soggezione, ma chiacchierare con Mateja, del più e del meno, è un piacere.
Finalmente arriva Josko, il contadino “rivoluzionario”, andiamo a tavola, con tutta la famiglia e mi si siedo al suo fianco, di lato. Per fortuna Bob fa abbastanza confusione e ha abbastanza cose da dire perché io possa ascoltare, principalmente, ed osservare. Andiamo subito con il bicchiere, una piccola ampolla in vetro sottile, carezzevole, che sta nella mano come una coppa degli dei, con due cavità per afferrarla intimamente, in cui viene versato con riguardo il Breg 2011, un vino che non ci sarà più. Prodotto con uve Sauvignon, Pinot Grigio, Chardonnay e Riesling Italico, è la penultima annata: i vigneti dai quali è stata raccolta l’uva sono stati espiantati tra il 2011 e il 2012, a seguito della decisione di Joskodi coltivare solo le varietà autoctone Ribolla Gialla e Pignolo.
In effetti il bicchiere diverso ti induce immediatamente ad un’osservazione nuova dal solito calice con stelo, il gioco di luce che conduci in modo più diretto, il sorso ravvicinato tra bocca e mano. Sensazioni nuove.
I due vecchi amici continuano a raccontarsi vicende del passato, dei primi passi di “Francesco” Josko, con la viticoltura convenzionale, per poi abbandonare barrique e acciaio e arrivare alle anfore interrate. I viaggi in California per capire come non si doveva fare.
Io invece mi perdo del bicchiere, improvvisamente mi sembra di essere nelle Highlands scozzesi, poi mi guardo intorno e sento le colline di confine. Trovo al naso una nocciola che sembra catapultarti in alcuni dolci di antica memoria.

Un po’ ascolto le narrazioni dei passaggi fondamentali della storia di Gravner e del suo approccio alla viticoltura. Ma sono cose che ho letto nei blog o in Guida Slow Wine. Mi piace invece scoprirlo come persona, un po’ alla volta, nei suo gesti, molto lenti e un po’ austeri, nel suo relazionarsi con la sua famiglia, un po’ dolce un po’ burbero.
A tavola con noi, oltre a Mateja, ci sono i giovani di famiglia, in particolare lo sguardo di Josko cade spesso su Gregor, il nipote che ormai lo sta affiancando in cantina, in vigneto soprattutto.
Torno sul bicchiere che adesso rivela albicocche e fiori di rosa appassiti, una leggera affumicatura gioca con tracce di arancia candita. Pulisce la bocca e lo senti proprio che pulisce. Semplicità dopotutto, complessità tutto sommato.
“Abbiamo tre vigneti adesso, uno ad Oslavia il Runk, due al di là del confine, in Slovenia, a Dedno e Hum, per 15 ettari” mi arrivano le informazioni all’orecchio, ma anche queste so di trovarle ovunque. Rituffo il naso nel bicchiere è tutto è già cambiato, il pepe bianco pizzica al naso e per la prima volta Josko parla del vino “sembra dolce…”, sembra, di un vino da 16 gradi che ricorda certo un grande Porto. Sembra, perché arriva la freschezza della frutta tropicale, l’allegria dell’arancia che non è più soffusa ma prorompente.
E’ sempre il Breg 2011, non abbiamo mica cambiato. E infine (forse, magari se non l’avessi ormai finito il racconto si prolungherebbe…) l’uva, le uve, la sostanza in bocca, l’uva passa, non riesco a definire bene questa sensazione, un po’ misteriosa, ma la lascio li e non mi preoccupo. La sensazione è che un cerchio si chiude, si ritorna alla materia da cui siamo partiti.
Abbiamo iniziato, come di abitudine in casa Gravner, con un’insalata dell’orto e questo vino, semplice e complesso, sta bene anche con l’insalata. In cucina c’è la moglie Marija, presenza discreta ma, si capisce, importante.
Mi pare che la mia soggezione sia andata via, rimane forse ancora un po’ di reticenza, ho bisogno di capire meglio. Nel frattempo arrivano bottiglie e altri bicchieri si riempiono. Siamo alla Ribolla 2009, anche lei lucente anche se con riflessi diversi. Un sorso materico sostenuto da profumi di mare, iodio, rosmarino.
Arrivano alcune informazioni più tecniche su come si lavora in vigna in questo momento: perché la storia di Gravner è una storia di cambiamento, di scoperte, di approcci messi in discussione. Cambia chi ha l’intelligenza per cambiare. “Non cimiamo più, attorcigliamo, perché mio papà diceva – mai tagliare il tralcio di vite -. Dal 2016 non diraspiamo più, ma bisogna aspettare he sia maturo il grappolo, bisogna aspettare, quindi vendemmiamo ad ottobre”, come nelle poesie di quando ero bambina, dico io. Mi è sempre più simpatico questo contadino.
“Il corno di silicio, la biodinamica, quando me ne parlavano, ridevo, adesso non rido più. La biodinamica è la colonna vertebrale di tutta una vita”, quindi si impara anche ad una certa età, dico io ad alta voce, sorridendo. “Eh si, ma la biodinamica richiede impegno”. Non ricordo bene come abbiamo proseguito la conversazione, ma li si è spezzata la ritrosia ed è subentrato l’inizio di una simpatica relazione interpersonale. Ho trovato un registro di sintonia.

Arriva la Ribolla 2010, 14 gradi ambra luminosa “si brava, luminosa, perché ora molti vini sono spenti…” è chiaro che ogni tanto arriva qualche nota critica sul resto del mondo, ma anche questo lo sappiamo che quello che c’è da dire si dice.
Che meraviglia questo vino, un po’ di uve botritizzate, sempre quella sensazione speciale di pulizia e poi di calore, un vino protettivo, consolatorio.

Passiamo alla Ribolla 2011, gradi 15,5, si cambia registro, una scia di arancia freschissima, il grado più alto collegato a grappoli più spargoli e poca quantità, unitamente ad un inizio di vendemmia tardivo.
Siamo nella penombra di questa bella stanza bianca, le imposte socchiuse per non far entrare il caldo. Pochi gesti semplici.
L’arancia evolve in note più calde di vaniglia buona. L’ambra rimane lucente come il raggio che passa attraverso le porte.
“Adesso ci sarà una settimana di relax”, mi sfugge il concetto di “relax” per Gravner, forse un’alzata dal letto più comoda delle quattro del mattino?
E’ il momento della magnum di Ribolla Riserva 2003, selezione dei vigneti di Runk, ricordo il pan brioche, quello delle pasticcerie veneziane di quando ero studente. Poi non ricordo altro. Era buonissima. Come il cibo che mangiamo.
Ho i bicchieri tutti davanti a me con un po’ di vino, continuano a cambiare, ogni volta succede qualcosa: “facciamo pochissimi travasi, nei sette anni di affinamento, uno all’anno, ogni due/tre anni”. Sembra un gioco, o una cabala misteriosa. Forse un po’ lo è, forse è per questo che i vini cambiano. Soni vivi, in tensione, si esprimono finalmente, usciti dalle bottiglie. “Ci sono poche novità che migliorano le cose” butta li Josko sorseggiando con gli occhi che diventano piccole fessure alla ricerca della memoria delle cose, nel tempo.

E’ venuto il momento di alzarsi e fare un veloce giro in cantina, a trovare le anfore. “Il vino ha valore nel tempo” per questo i sette anni di affinamento, giriamo per le anfore interrate, nella penombra, un passaggio alle botti grandi, che sono proprio grandi, assaggiamo le ultime annate, giovanissime, e lì incontro uno Josko che ride, che si diverte con alcuni aneddoti.
Torniamo in superficie a mirare le colline, la linea di confine, qualche storia di guerra. Guarda i boschi e dice “senza boschi non c’è vita”. Il progetto nuovo è il “Giardino delle Anfore” che Josko sta preparando per interrare le anfore all’aperto, li, a mirare l’orizzonte, i boschi “Perché il vino deve vivere nell’Universo!”.
Si è fatto tardi per Josko, ci vuole il sonnellino pomeridiano.
Ma non finisce qui, c’è la visita ai vigneti, tutti e tre, quanto mai illuminante, ci accompagna Gregor, il futuro di casa Gravner. Prima tappa al vigneto vicino casa, il Runk, dove scopro che tutti i vigneti hanno un laghetto per richiamare flora e fauna, biodiversità data da tanti alberi diversi, ulivi, da frutto, cipressi; panchine e sedute per rimirare il paesaggio che è veramente variegato, come un parco vigneto. Passeggiamo con Gregor per i vigneti, il giovane vignaiolo si lascia finalmente andare, si apre e ci racconta festosamente del lavoro in vigna, prende i grappoli in mano e li mostra orgoglioso, cosi spargoli, cosi vivi di luce, ci racconta il tipo di potatura, come viene condotto il vigneto. Sento che nel futuro ci sarà più leggerezza, certo, una responsabilità importante da portare avanti, ma forse senza il peso della rivoluzione, continuando nel solco segnato dal nonno e con il sostegno di Mateja.
Ci spostiamo nei vigneti in Slovenia, per primo il Dedno, in alto, con vista spettacolare sulle colline circostanti: Gregor ci parla degli espianti e dei nuovi vigneti, dei progetti, delle annate, ma anche di chi, nel territorio, fa ancora fatica a mettere la qualità dell’ambiente e del frutto avanti a tutto.

Infine andiamo alla vigna di Hum, splendida, un panorama unico, con in cima la casa ristrutturata, una bella casa in pietra, con un’architettura tradizionale “come ormai non ce ne sono più” dice Gregor: in mezzo ai filari delle vigne, ampi e comodi, un puntinamento di chiome di alberi, che lo fa diventare un giardino, molto curato. Il vino qui vive nell’universo.
C’è sempre un bel venticello da quassù e sono proprio contenta.
