“Qui tutti si chiamano Merotto, loro sono identificati come i Bareta, un soprannome per distinguersi fra tutti” mi racconta Mark Merotto (omonimo ma non parente, un destino quindi lavorare qui) l’enologo che li segue passo passo nel progetto vitivinicolo diventato via via sempre più importante. Vado in visita con molta curiosità, accettando un cortese invito pensato da tempo e finalmente sono qui, a Farra di Soligo, Col San Martino, in una bella giornata di sole che già sa di primavera anche se è un po’ prestino.
Mi affidano a Mark e assieme giriamo i vigneti attorno alla cantina, incastonata fra colline alte e ripide, partiamo dal vigneto Castel, pendenza significativa, terreni rocciosi dove le viti arrivano in profondità per acquisire le sostanze minerali più interessanti. E’ la vigna cru dell’azienda di cui poi assaggeremo un prosecco unico nel suo genere, ceppi di diversa struttura che testimoniano la diversa età delle piante. Esposizione ideale dei vigneti e condizioni microclimatiche eccezionali per avere uve di qualità. La conduzione dei vigneti è attenta alla sostenibilità, negli ultimi cinque anni sono stati dimezzati i trattamenti. Gli altri vigneti sono un po’ attorno alla cantina a Farra di Soligo e Col San Martino, fra cui la famosa Particella 86, e un po’ sparsi in altre zone vocate fra cui Cartizze e Collalto.
Passeggiamo con Mark che mi racconta un sacco di cose sia dei vigneti che della vinificazione, processo seguito in modo quasi maniacale, con scrupolo e prendendosi il tempo necessario per valorizzare tutte le possibilità della pianta e dell’uva, del frutto. La prima particolarità me la racconta in vigneto, è quella della doppia maturazione ragionata. E’ una tecnica in cui si recidono, circa 20 giorni prima della vendemmia, alcuni tralci in modo che i grappoli che restano sulla pianta appassiscano, si concentrano gli zuccheri ma resta l’acidità, gli altri grappoli continuano a maturare normalmente. Le uve, una volta raccolte, vengono pigiate assieme, pressatura soffice e poi si procede con una rifermentazione lunga, sei mei o quello che è necessario a seconda dell’annata. Insomma si mantengono gli aromi e l’acidità dell’uva dando più struttura al vino che ha così la possibilità di affinarsi nel tempo senza perdere di leggiadria e freschezza.
Un giro veloce in cantina e poi, passeggiando nei vigneti, arriviamo al nuovo spazio di degustazione e di vendita, il Merotto Space, con le vetrate da cui si ammira una visione suggestiva sulle colline, un posto veramente bello per assaggiare i vini: una vecchia casa contadina con stalla e fienile, in un corpo unico, in pietra, recuperata e ristrutturata.

E qui incontro Graziano Merotto e signora: una bella stretta di mano e ci accomodiamo per la degustazione. Ricordo le sue parole “I miei vini sono tutti diversi fra loro e hanno nomi propri per comunicare i diversi caratteri, proprio come le persone. Ci sono però tre elementi che li accomunano: la freschezza gustativa, la fragranza del frutto e l’alto punto di bevibilità. Questi infatti sono i requisiti che cerchiamo di ottenere per creare armonia ed equilibrio nel bicchiere”.
Graziano Merotto ha ereditato la passione per la viticoltura dal nonno Agostino che avviò l’attività agli inizi del Novecento, ha studiato alla Scuola Enologica di Conegliano e fonda la cantina nel 1972 e nel racconto che fa della sua vita si sente la passione ma anche l’umiltà, il piacere del raccontare i diversi passaggi della storia di questa azienda.
Ma veniamo ai vini, ne assaggiamo sette, i più rappresentativi. Partiamo con il Valdobbiadene Prosecco Integral Brut 2018, è il prosecco più secco, ultimo nato, non dosato, le uve provengono da piante di un unico vigneto con più di 40 anni. Il mosto fa una macerazione sulle bucce di alcune ore, gioca molto sulla frutta, inaspettatamente morbido in bocca, ottima bevibilità, una bevuta simpatica.
Passiamo al Valdobbiadene Prosecco Bareta Brut 2019, residuo zuccherino al minimo, 8 gr litro, è da poco in bottiglia ma ha già un’ottima personalità, sapidità lunga come piace a me, la spuma bella consistente nel bicchiere, tutte le caratteristiche per essere un numero uno questa estate.
E’ il momento di un vino veramente importante, una star pluripremiata, è il Rive di Col San Martino Valdobbiadene Prosecco Cuvèe del Fondatore Graziano Merotto Brut 2018. La prima annata risale al 2009, uve del vigneto Particella 86, un concentrato di eleganza, quasi aristocratico, un gran signore, misurato, finissimo, leggere note agrumate e saline preannunciano un finale sapido che non finisce più; il secondo sorso porta il mare, il substrato roccioso si fa sapore, sostanzioso ma sempre elegante.
Cambiamo passo con il Valdobbiadene Prosecco Extra Dry Colbelo 2018, un naso fruttato fresco, i fiori di glicine netti, note di mela verde, tanta pesca, non invasivo però, si sente l’impronta dell’annata, cremoso, gradevole al sorso, come un extra dry deve essere.
Svela appieno le caratteristiche del cru da cui proviene, Castel (il toponimo deriva da “Colle il Castello”, nome attribuito dal mappale geografico all’area vitata in cui si erge) è il Valdobbiadene Prosecco Extra Dry Castè 2018, la collina rocciosa in tutta la sua espressività, controbilanciata da sei mesi sui lieviti per dare morbidezza, i profumi che ti aspetti, c’è soavità, gradevolezza.
E’ il momento di una chicca, l’unico prosecco di casa Merotto che prevede la presenza anche di uva perera, circa un dieci per cento, La Primavera di Barbara Valdobbiadene Superiore Dry 2018 , dedicato da Graziano alla figlia, è un’esplosione di profumi e in bocca fragrante quasi croccante, con la dolcezza in equilibrio con la sapidità sempre presente.
Si chiude questo percorso nel mondo del Prosecco Merotto con il Valdobbiadene Superiore di Cartizze Dry, la dolcezza ben bilanciata, un sorso morbido ma dal finale sorprendentemente sapido, articolato e armonico nelle sensazioni, con quella nota minerale di cipria che lo rende molto originale.
Ci concediamo una divagazione con Grani di Nero 2019 Gran Cuvèe Rosè Brut ,uno spumante di pinot nero dai delicati profumi di petalo di rosa, la freschezza di impronta del metodo Martinotti ne fa un vino d’annata giocoso, fresco, con intriganti note di fragoline di bosco.

Ma non finisce qui perché chiedo di assaggiare il rosso di casa, alla ricerca dei bordolesi veneti come da un po’ stiamo facendo con Slowine, e così scopro il Cabernet Sauvignon Rosso Dogato 2015 IGT Piave, trenta mesi in affinamento e poi ancora un anno in bottiglia, una piccola produzione di 5000 bottiglie, un altro bordolese dal carattere raffinato, soprattutto la trama tannica e il finale molto piacevole che richiama un nuovo sorso, ma ormai è veramente ora di andare.
