WINE&FOOD

DI FIUMI, DI BONIFICA E DI TRE VINI NEL VENETO ORIENTALE

L’attenzione nei nostri territori alla storia ed alle influenze che la Bonifica ha avuto sull’economia e cultura nel tempo, ben si lega anche alla storia e alla cultura dei vini tipici del Veneto Orientale. I fiumi, e la loro azione, e poi gli interventi di Bonifica, hanno prodotto dei risvolti interessanti anche in questo ambito.

Una degustazione che ho messo a punto per il Consorzio di Bonifica, durante il Festival Terre Evolute 2021, mi ha offerto la possibilità di approfondire alcuni aspetti, in particolare attraverso tre vitigni che fanno parte della storia e della cultura di questi territori: uno degli aspetti che maggiormente amo dei vini è proprio la capacità di raccontare un territorio.

Verduzzo, Raboso, Lison

Il territorio della Venezia Orientale è sempre stato un territorio di confine e di passaggio: questo significa che i traffici commerciali sono stati attività ben presenti e il vino ne ha sempre fatto parte, anche se con alterne vicende. Prima con i Romani, poi con la Serenissima Repubblica e poi con le realtà confinanti. Infine con il dominio austriaco e fino ad arrivare ai moderni confini.

Il vino è prodotto da sempre in questi territori e si commercializzava, prima i Romani, come si diceva, citazioni di Plinio sul Pucinum ce lo confermano, le tracce evidenti delle anfore, anche in recenti ritrovamenti archeologici nel nostro mare e negli scavi archeologici di Concordia Sagittaria, delle giare, che testimoniano la cura che i Romani hanno avuto per questi territori come serbatoio agricolo per rifornire le loro città.

Quando però arrivano i barbari ritorna la palude, ritornano i boschi selvaggi, dobbiamo aspettare l’intelligenza della Repubblica Serenissima per una nuova epoca, per le prime bonifiche, le idrovore, per ospitare le residenze di villeggiatura e gli orti e le coltivazioni necessarie, sia per l’alimentazione dei nobili villeggianti, sia per l’invio nella città lagunare.  La coltivazione della vite è certa rispetto alle ipotesi dell’epoca romana. In particolare il raboso per i viaggi delle navi, date le sue caratteristiche di conservazione, grazie alla spiccata acidità e alla presenza marcata del tannino che fungeva da conservante. Il raboso era il vino che veniva bevuto un po’ da tutti.

Arriviamo in questo veloce escursus alla prima guerra mondiale dove si allagano le pianure, si aprono le idrovore e via con la nuova bonifica post guerra e mussoliniana.

Ma fermiamoci un attimo sul doloroso evento della Prima Guerra Mondiale. Invano gli Italiani avevano provato a fermare il nemico con il blocco delle idrovore nel momento dell’avanzata degli austriaci, facendo ritornare le paludi sulle terre con tanta fatica bonificate, allagando vaste aree di terreno agricolo, per ritardare la marcia delle armate imperiali austriache. I combattimenti sul fronte della Piave, devasteranno case e campi e si dovrà ricominciare da capo.

Una lunga evoluzione cha ha cambiato il volto della produzione vinicola locale ma, alcuni vitigni, rimangono ancora fortemente ancorati alla tradizione del territorio. I numeri sono decisamente cambiati ed i vitigni ridotti notevolmente: mi riferisco al Raboso già citato, al Tocai Friulano ora Lison, dopo le note vicende del cambio di nome (anche se andando nelle osterie di Lison nessuno vi rimprovererà se lo chiamate ancora così, chiedendo al banco, un bianco di Tocai), al Verduzzo ma anche, e soprattutto, la nuova vita del Prosèco ora Glera, che sta cambiando il volto dell’architettura vitivinicola del Veneto Orientale.

Andiamo a scoprire, attraverso questi tre vitigni tipici, alcuni caratteri e connessioni con i fiumi e, quindi, con la Bonifica necessaria per la sicurezza del territorio.

LISON

Vino che compare nella seconda metà dell’800 come indica un articolo del Sannino che lo colloca “tra Piave e Tagliamento”, se inizialmente si pensa ad un’origine ungherese per via dei traffici commerciali. In realtà studi successivi chiariscono che invece l’origine, grazie a Napoleone, è francese, il vero progenitore è il cosiddetto “sauvignonasse”.

L’ epicentro di produzione si colloca nella zona di Lison dove trova il suo ambiente elettivo per esprimersi al meglio. Un vitigno molto vigoroso: ed ecco qui le prime informazioni legate ai terreni alluvionali.

I suoli argillosi, sui quali viene piantato, grazie alla loro compattezza, ne frenano l’esuberanza, riducendo la produzione per una maggiore qualità. Il caranto presente nel sottosuolo è l’origine dei toni aromatici di mandorla, che ne danno tipicità.  Chi l’avrebbe mai detto che Piave e Tagliamento con le loro esondazioni avrebbero restituito sapori di mandorla nel vino!

L’attuale zona “Lison-Pramaggiore” è caratterizzata da terreni pianeggianti, che si son creati nel corso dei millenni ad opera delle glaciazioni e dei successivi depositi alluvionali, grazie ai materiali trasportati dalle acque di scioglimento degli antichi ghiacciai, che andavano via via ritirandosi.

Il fiume Livenza, tra Piave e Tagliamento

Negli stessi terreni, appena sotto la superficie, si sono formati vari strati di diverse tipologie di carbonati, da cui i terreni ricchi di caranto. Ecco quindi confermato che in questi suoli ricchi di calcio si possono produrre vini pregiati, ricchi di sostanze aromatiche.

La versione più tipica della tipologia Lison ha quindi un’acidità contenuta, vini da grande corpo ma anche freschezza per i ph contenuti, con la nota di mandorla netta, sia al naso che nel finale di bocca, accompagnata dai profumi della frutta gialla. Il Lison deve essere elegante, ma dalla dinamicità di beva, pur con buona alcolicità.

Chiaramente i terreni vanno trattati con intelligenza per valorizzare un substrato argilloso, ricco di potassio naturale, dove non è così necessario effettuare concimazioni. Importante non effettuare diserbo chimico e irrigazione solo quando estremamente necessario. Anche le rese bassissime per pianta servono per avere una qualità decisamente alta. Ecco come si può da questi terreni di bonifica trarre il massimo.

Raboso

Vigneto di raboso su suoli alluvionali vicino al PIave

Storia affascinante quella del Raboso, vitigno di cui sono state scritte molte cose, decine di lavori di ogni genere: citazioni poetiche e teatrali, molti trattati di viticoltura che iniziano dall’ Agostinetti del 1679.

Si racconta che nelle zone di bonifica, quando gli operai si ammalavano di malaria, per curarli, si andasse a comprare carri pieni di damigiane di Raboso e dopo qualche tempo gli stessi guarivano. Forse non fu per quello, ma questi racconti orali dimostrano come fosse importante il ruolo che veniva dato a questo vino

Il vino è espressione del territorio, che lo fa suo, adattandolo alle caratteristiche, se non ci sono eccessivi interventi della mano dell’uomo. Lungo il Piave questo vino è certamente il Raboso, che qui si coltiva da millenni. Il Raboso, molto probabilmente, deriva dall’addomesticazione della vite selvatica che in questa parte del Veneto è presente da sempre.

Nell’interessante pubblicazione di Ulderico Bernardi “QUANDO RABOSO E FRIULARO SI CHIAMAVANO VIN MORO” si legge “Publio Virgilio Marone, Strabone subito dopo, e ancora Plinio il Vecchio e tanti altri, descrivono queste aree con la presenza concreta di viti e vino nelle terre alluvionali e sempre più ghiaiose man mano che si risalgono i corsi dei fiumi. La valle del Piave era un’enorme area alluvionale, ampie aree venivano sovente allagate dalle piene del fiume, contadini e monaci benedettini bonificavano terreni che subito dopo venivano fatalmente spazzati via dalla prima importante piena.”  Ecco il collegamento di cui dicevo nella premessa a questo articolo.

Il Bernardi prosegue “Il Raboso potrebbe tranquillamente rappresentare un po’ anche la gente di queste parti, uomini aspri, duri, spigolosi, come il Raboso appunto; uomini che sono stati in grado di regimentare le acque e bonificare grandi aree lungo la valle del Piave fino alla foce; uomini che hanno saputo portare la viticoltura e la capacità imprenditoriale in tutto il mondo.” Che magnifica illustrazione e riconoscimento alle genti della Bonifica.

L’apice del successo per questi vitigno, nei tempi moderni, si colloca agli inizi del ‘900 in particolare nell’area compresa di Conegliano ed i fiumi Piave e Livenza, chiamata “zona del Raboso Piave”. Nel secondo dopoguerra però il Raboso del Piave inizia a perdere posizioni e la tendenza si inverte portando, per molti anni, la sua coltivazione dal 90% al 5%. Solo a metà degli anni ’90 la terra del Piave accompagna una nuova stagione del suo Raboso, fino ad arrivare al riconoscimento storico della DOCG nella versione “Malanotte”.

Ma veniamo allo schema degustativo: la vite del Raboso è la prima a germogliare e l’ultima ad essere raccolta. Il suo segreto è nel terreno: nei terreni ghiaiosi e argillosi, negli antichi greti, nelle golene tra il fiume e i suoi argini, dove maturano sotto il sole caldo della pianura.

Il Raboso Piave è vino rosso intenso e speziato per natura, il bouquet deve essere ampio: le note tipiche di marasche si accompagnano a profumi di speziature che possono ricordare il cioccolato ed il caffè. Il sorso è sempre fresco, con tannini delicati e una sottile sapidità quando è lavorato con cura e da uve raccolte a piena maturazione. I terreni argillosi conferiscono sfumature saline. Se le rese di uva per ceppo sono basse si riesce ad imbottigliare un prodotto dall’alta concentrazione di sostanze aromatiche che non ha eguali.

Il Verduzzo

Un tempo le pianure dal Piave fino ai confini con le grave del Friuli erano riccamente coperte da vigneti di verduzzo, per la sua dolcezza naturale era un po’ il vino delle feste, praticamente ormai scomparso. Se ne coltivava così tanto che quando inizia la produzione del Prosecco si produceva uno spumante molto interessante a cui si aggiungeva uva verduzzo per dare più spessore, maggiore struttura, mi racconta un produttore che se lo ricorda.

Due sono le tipologie di Verduzzo: quello Friulano compare a fine ‘800, mentre il Verduzzo Trevigiano ha un’origine non chiara, forse agli inizi del ‘900, il Verduzzo di Motta: sto approfondendo la ricerca e quando il quadro sarà più chiaro prometto di ritornare sull’argomento.

Si adatta a diverse tipologie di ambienti ma i migliori risultati si hanno sui suoli argillosi strutturati, che ne restituiscono concentrazione aromatica: ecco di nuovo il legame virtuoso con terreni alluvionali e le opere di Bonifica per renderli atti a produrre.

Grappolo di Verduzzo

La concentrazione aromatica svela note tropicali nei profumi: oggi ne troviamo pochi esemplari, di produttori virtuosi, in diverse versioni. Quella ferma, ma leggermente abboccata, quella frizzante per una versione più facile da aperitivo, perfetta per l’estate e poi la versione passita, quella delle feste ma non solo. La tradizione ci racconta che un bicchiere di Verduzzo, ma forse anche due, veniva dato alle puerpere, appena avevano partorito, per rinvigorirle e aumentare il latte e, si spera, per festeggiare il nascituro!

Articolo apparso sulla rivista IN PIAZZA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *