VIAGGI&SPAZI

LE VIGNE URBANE DI VENEZIA E DELLA LAGUNA: GIOIELLI STORICI

Questa strega dà risposta
a chi l’ama senza sosta.
È uno specchio che riflette
tante cose ancor non dette.
Può esser madre o pur bagascia,
ma un’impronta sempre lascia
ciò dipende dal tuo sguardo
quand’è vero o è infingardo.

         (Gianpaolo Simonetti)

La viticoltura a Venezia è stata presente e traccia culturale nel tempo: la coltivazione della vite era uno dei commerci più floridi della Repubblica Serenissima. Se originariamente il vino veniva principalmente importato da Creta e dalla Grecia, quando gli Ottomani conquistarono questi territori, Venezia decise di produrlo da sè il vino. Risalendo l’Adriatico, le barbatelle delle Malvasie vennero piantate ovunque e poi commercializzate anche in molte altre zone d’ Europa.

Le vigne in città sono sparse in molti luoghi, così come i richiami al vino, facile è scoprire calli, campi, vigneti che si celano in antichi broli o in isole lagunari: fino al 1812, secondo il Catasto Napoleonico, c’erano ancora 300 ettari coltivati a vigna nelle isole della Laguna, di cui oggi ne rimane solo il 10%.

Vi sono documenti che certificano la presenza di vigne anche in Piazza San Marco. Nella toponomastica cittadina, infatti, sono molti i riferimenti al vino, come Calle Malvasia, la riva del vin lungo Canal Grande nei pressi di Rialto e l’isola delle Vignole; ma anche chiese, come San Francesco della Vigna.

Studi recenti hanno portato alla luce vigneti antichi o abbandonati, specialmente dopo l’AquaGranda, la grande alluvione del 1966, che sommerse la città: da allora molti dei vigneti urbani sparirono, costringendo i vignaioli a cambiare lavoro. In particolare questa opera di recupero si deve all’Associazione “Laguna nel Bicchiere Le Vigne ritrovate” fondata dallo scomparso Flavio Franceschet che nel 1993 scoprì l’orto vigneto di San Francesco della Vigna.

Ulteriore impulso a questa esemplare e necessaria opera di recupero è stato dato da Gianluca Bisol produttore di Valdobbiadene e Roberto Cipresso famoso winemaker che hanno esplorato tutte le vigne di Venezia con uno studio approfondito e recuperato in particolare il vitigno Dorona, detto anche “Uva d’oro”, autoctono di Venezia, sul quale è stato avviato il progetto di Venissa: con l’aiuto di alcuni agronomi ed esperti conoscitori della laguna, sono state ritrovate nelle isole di Venezia le ultime 88 piante sopravvissute alla grande acqua alta.

Ma andiamo a conoscere più a fondo questi vigneti unici e collocati nella più bella città del mondo!

VENISSA

Siamo vicinissimi a Burano, la fermata del vaporetto dista due minuti: un vero e proprio clos circoscritto da mura medievali e con un campanile trecentesco all’interno della vigna. La proprietà, circondata dall’acqua su tre dei quattro lati, è attraversata da un canale e da un sistema di gestione delle acque che spesso si ritrova nelle isole veneziane, costruito appositamente per gestire le maree. E’ qui che Roberto Cipresso e Gianluca Bisol hanno preso ispirazione per la produzione della Dorona, da cui hanno ricavato un prezioso vino con il corpo e la struttura di un rosso.

Grappolo di Dorona

Il vigneto, poco meno di un ettaro, conta 4000 piante che in questi anni hanno dimostrato una perfetta adattabilità in un ambiente dove salinità del suolo, umidità ed estati calde sono le caratteristiche dominanti del terroir, che producono una maggior concentrazione delle uve, una resistenza alla botrite, e una capacità di mantenere un’ottima acidità anche a temperature elevate.

Oggi Venissa è una realtà di eccellenza, oltre alla vigna si possono visitare gli orti: parte della verdura prodotta negli orti viene utilizzata nel Ristorante Venissa, premiato con la stella Michelin, condotto dagli chef Chiara Pavan e Francesco Brutto che valorizzano una meravigliosa cucina di Laguna. https://www.venissa.it/

È il vigneto urbano più antico di Venezia, nella parte nord di Venezia, nel Sestiere di Castello, donato ai frati nel 1253 dal patrizio Marco Ziani. La struttura si compone di tre chiostri: due sono adibiti ad orto e vigneto; nel terzo è raccolta l’acqua piovana che permette l’irrigazione dei campi. La parrocchia di San Francesco della Vigna deve il suo nome al fatto che il luogo in cui sorge, in origine, era coltivato a vigneti, i più estesi e fecondi di tutta Venezia. 

Le vigne fanno parte di un complesso architettonico unico, che ospita anche il convento dei Frati Minori e la Chiesa, una delle più imponenti di Venezia, opera del Sansovino e del Palladio, oltre all’Istituto di Studi Ecumenici, e la Biblioteca, punto di riferimento per gli studiosi di teologia con i suoi oltre duecentomila volumi, provenienti da 11 fondi di vari conventi soppressi nel Veneto. Tra questi spicca San Michele in Isola, dove è stata ritrovata l’ultima copia rimasta del primo Corano stampato in arabo a Venezia. 

Grazie all’incontro con un produttore della Valpolicella, Celestino Gasparri, si avvia il progetto della vinificazione di qualità che porta a decidere di allevare, dopo attenti studi del suolo, vigneti di Refosco e Teroldego. Dal 2019 il vigneto, di circa 1600 metri quadrati di superficie, a conduzione biologica, è gestito dal Gruppo Santa Margherita che decide di sostituire i vigneti con uve Malvasia e Glera per recuperare la tradizione veneziana. La Glera viene allevata a guyot semplice con un palo ogni vite e impostando le piante a circa un metro di distanza. Il tipo di tralcio che si è venuto a creare ricorda il pastorale, il bastone dall’estremità ricurva usato dai sacerdoti.

La Malvasia, invece, prevede il guyot a spalliera, e anche qui le viti vicine per puntare alla qualità. Viene prodotto un unico vino che si chiama Harmonia Mundi e il ricavato delle bottiglie vendute, circa un migliaio, serve a finanziare le borse di studio per gli allievi dell’Istituto di studi ecumenici della facoltà di Teologia.

IL GIARDINO DEI CARMELITANI SCALZI

Proprio nei pressi della Stazione di Santa Lucia, nascosto da alti muri che confinano con i binari della stazione, si cela uno dei giardini segreti più affascinanti e meglio custoditi della città lagunare. Si tratta del Giardino Mistico del Convento dei Padri Carmelitani Scalzi di Venezia, il più grande della città, che nel 2015 è stato completamente ristrutturato dall’Architetto Giorgio Forti in collaborazione con il Consorzio Vini Venezia.

Con il vigneto sono stati recuperati gli antichi vitigni autoctoni per ripiantarli nel brolo: oggi è composto da 17 varietà, contraddistinte ognuna da cartelli esplicativi, tra cui le principali che si coltivavano in Laguna, come la Dorona e la Malvasia, e quelle internazionali maggiormente legate alla sua storia comprese varietà armene e provenienti dalla Terra Promessa. La produzione si aggira oggi sulle 1000 bottiglie all’anno: sono due i vini prodotti, uno si chiama Ad Mensam, è un vino bianco ottenuto da una selezione di 17 varietà tra cui Glera, Bianchetta trevigiana, Grapariol, Malvasia, Verduzzo trevigiano e Dorona. Abbiamo poi il Prandium, un vino rosso prodotto con uve di Raboso, Marzemino, Turchetta e Recantina.

Da segnalare due varietà a bacca bianca molto particolari che si possono trovare nel vigneto: la prima denominata Rushaki”, scoperta a San Lazzaro degli Armeni, deriva da un incrocio risalente al 1932 ottenuto a Yerevan (capitale armena) tra varietà Mskhali e Sultanina. La seconda è una varietà israeliana chiamata Nehelescol (o anche Terra Promessa), identificata proprio nell’ orto-giardino dei Carmelitani Scalzi.

L’ISOLA DI SANT’ERASMO

Un tempo denominata orto e giardino di Venezia, l’isola è tutt’ora intensamente coltivata, oltre alla viticoltura vanta un’eccellenza rara con il suo prelibatissimo carciofo violetto di Sant’Erasmo che è Presidio Slowfood. Il suolo è ricco di argilla e sabbia, il caranto, un insieme di argilla, limo e sabbia molto interessante; la terra ricca è a sinistra dell’isola, terre sabbiose, più dedicate alla viticoltura, più limose a destra dove il carciofo è prevalente.

L’isola in antichità era ricca di vigneti che poi sono andati perduti: grazie al paziente lavoro di recupero di due produttori, è stato possibile riscoprire una tradizione che altrimenti sarebbe andata perduta. Il terreno limoso-sabbioso ha preservato alcune piante antiche dalla fillossera e sono a piede franco: le radici a piede franco affondano molto in profondità mentre il piede americano resta più in superficie quindi assorbe meno minerali e meno sostanze dal terreno.

Vigne pre filossera a Sant’Erasmo

Fino al 1966 nelle vigne di Sant’Erasmo si coltivavano tre vitigni: dorona, bianchetta e raboso veronese. Nel 1966 l’alluvione distrusse tutti gli orti di Sant’Erasmo. Negli anni successivi furono introdotti vitigni internazionali come merlot, trebbiano, cabernet. Oggi l’isola conserva ancora un vigneto di dorona, coltivato dal contadino che ha recuperato i vitigni rimasti dopo il disastro del 1966 reimpiantandoli nella zona detta delle Motte.

Le piante più vecchie risalgono al 1870, mentre le più giovani sono state piantate negli anni ’70, dopo l’alluvione del 1966, rinnovando l’antico sistema di drenaggio, che raccoglie l’acqua piovana entro i canali tra i filari delle vigne e fluisce poi in laguna con la bassa marea attraverso sistemi idraulici di “chiuse”.

Vigne a Sant’Erasmo

I VIGNETI DELL’ASSOCIAZIONE LAGUNA NEL BICCHIERE

Attiva dal 1993 per iniziativa del professor Flavio Franceschet, l’associazione “Laguna nel bicchiere” è nata con l’obiettivo di recuperare i vigneti abbandonati del centro storico di Venezia e nel suo estuario, salvaguardando così questi paesaggi rurali unici al mondo. Nel corso dei decenni, ha curato la risistemazione di numerosi appezzamenti collaborando direttamente con i proprietari. Attualmente si occupa della gestione dei filari dell’ex monastero dei Camaldolesi sull’isola di San Michele dove ha sede il cimitero di Venezia, di un antico vigneto alla Giudecca e di una vigna sull’isola Le Vignole.

Il vecchio vigneto alla Giudecca è formato da pali di legno di castagno, diviso in due campi diversi e contigui, attraversati da un camminamento, in cui sono piantati diversi vitigni a bacca nera quali il Lambrusco Marani, Carmener, Merlot, Cabernet Frank e pochi vitigni di Malvasia bianca da tavola. Un vigneto che presenta molteplici particolarità storico-ambientali in quanto in questa area già dal Cinquecento, come documentato nella dettagliata mappa di Venezia di Jacopo de Barbari, era piantumato un vigneto.

Articolo scritto per la rivista Il Sommelier

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